Accertamento negativo credito e decreto ingiuntivo. La posizione delle Sezioni Unite

Cassazione Sez. Un. Civili , 01 ottobre 2007, n. 20596 – Pres. Carbone – Est. Salmè.

Competenza civile – Continenza di cause – Procedimento monitorio – Azione di accertamento negativo – Proposizione delle domande dinanzi a giudici diversi – Giudice competente – Individuazione – Criterio della prevenzione – Determinazione con riferimento alla data di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo – Ammissibilità – Condizione – Sussistenza della competenza del giudice del procedimento alla data del deposito del ricorso monitorio.

Competenza civile – Continenza di cause – Nozione – Portata – Rapporto di interdipendenza tra due cause – Inclusione – Fattispecie.

Procedimento civile – Capacità processuale – Autorizzazione ad agire e contraddire – Società ed altri enti – Spendita della qualità di legale rappresentante di persona giuridica da parte della persona fisica conferente il mandato “ad litem” – Onere probatorio relativo – Regime applicabile in caso di potere rappresentativo derivante da atto non soggetto a pubblicità legale – Onere specifico di riscontrare la qualità spesa – Sussistenza – Presupposto – Tempestività della contestazione della controparte – Necessità – Accertabilità d’ufficio in ipotesi di contestazione tardiva – Esclusione – Fattispecie in tema di giudizio conseguente a regolamento di competenza.

Nel caso in cui la parte nei cui confronti è stata chiesta l’emissione di decreto ingiuntivo abbia proposto domanda di accertamento negativo del credito davanti ad un diverso giudice prima che il ricorso ed il decreto ingiuntivo le siano stati notificati, se, in virtù del rapporto di continenza tra le due cause, quella di accertamento negativo si presti ad essere riunita a quella di opposizione, la continenza deve operare in questo senso, retroagendo gli effetti della pendenza della controversia introdotta con la domanda di ingiunzione al momento del deposito del relativo ricorso, sempre che la domanda monitoria sia stata formulata davanti a giudice che, alla data della presentazione, era competente a conoscerla. (Con l’affermazione di tale principio le Sezioni unite hanno risolto il contrasto formatosi in seno alle sezioni semplici in ordine alla determinazione della prevenzione, rilevante ai fini della continenza, tra la domanda di condanna introdotta con il ricorso per decreto ingiuntivo davanti ad un determinato giudice, comunque competente, e quella, proposta successivamente al deposito del ricorso monitorio ma anteriormente alla sua notificazione, di accertamento negativo dello stesso credito dinanzi ad altro giudice). (massima ufficiale)

Ai sensi dell’art. 39, comma secondo, cod. proc. civ., la continenza di cause ricorre non solo quando due cause siano caratterizzate da identità di soggetti (identità non esclusa, peraltro, dalla circostanza che in uno dei due giudizi sia presente anche un soggetto diverso) e di titolo e da una differenza quantitativa dell’oggetto, ma anche quando fra le cause sussista un rapporto di interdipendenza, come nel caso in cui sono prospettate, con riferimento ad un unico rapporto negoziale, domande contrapposte o in relazione di alternatività e caratterizzate da una coincidenza soltanto parziale delle “causae petendi”, nonché quando le questioni dedotte con la domanda anteriormente proposta costituiscano il necessario presupposto (alla stregua della sussistenza di un nesso di pregiudizialità logico-giuridica) per la definizione del giudizio successivo, come nell’ipotesi in cui le contrapposte domande concernano il riconoscimento e la tutela di diritti derivanti dallo stesso rapporto e il loro esito dipenda dalla soluzione di una o più questioni comuni. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, le Sezioni unite hanno ritenuto la sussistenza di un rapporto di continenza tra la domanda proposta da un istituto di credito nei confronti del correntista, avente ad oggetto il pagamento del saldo negativo del conto, e quella proposta dal correntista nei riguardi della banca, avente ad oggetto l’accertamento della nullità della clausola che fissava gli interessi in misura ultralegale e di quella di capitalizzazione degli stessi). (massima ufficiale)

In tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l’ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa. (Nella specie, le Sezioni unite, con riferimento ad un ricorso per regolamento di competenza, hanno disatteso l’eccezione di inammissibilità avanzata dai controricorrenti relativa alla invalidità della procura rilasciata dalla società ricorrente per assunto difetto di legittimazione alla rappresentanza processuale della persona fisica che l’aveva conferita, siccome rimasta priva di prova e risultata comunque formulata solo con la memoria di cui all’art. 47 cod. proc. civ., depositata, però, tardivamente). (massima ufficiale)

  

 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
SEZIONI UNITEComposta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo – Presidente Aggiunto –
Dott. SENESE Salvatore – Presidente di sezione –
Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Consigliere –
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Consigliere –
Dott. TRIFONE Francesco – Consigliere –
Dott. SALMÈ Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –
Dott. MALPICA Emilio – Consigliere –
Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:ORDINANZA
sul ricorso per REGOLAMENTO DI COMPETENZA proposto da:
UNICREDIT BANCA D’IMPRESA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ZANARDELLI 20, presso lo studio dell’avvocato ALBISINNI LUIGI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO UBERTO TEDESCHI, giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ PROPAGANDA S.R.L., in persona del curatore pro-tempore, GRECO CATALDO, RAGNI GABRIELLA, GRECO GIORGIO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE CARSO 34, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CIAURRO, rappresentati e difesi dall’avvocato ARNESE AURELIO, giuste deleghe in atti;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 728/04 del Tribunale di PARMA, depositata il 23/06/04;
udito l’avv. A. CIAURRO per delega dell’avv. Arnese;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio il 03/04/07 dal Cons. Dott. Giuseppe SALMÈ;
lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio MARTONE, il quale chiede che la Corte di cassazione, previa rimessione alle Sezioni unite, in camera di consiglio, dichiari la competenza del Tribunale di Bologna, con le conseguenze di legge. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Su ricorso della Unicredit Banca s.p.a. il presidente del tribunale di Parma, con decreto dell’11 luglio del 2002, immediatamente esecutivo, ha ingiunto alla Propaganda s.r.l. e ai garanti, Greco Cataldo, Gabriella Ragni e Giorgio Greco, di pagare la somma di Euro 422.773,92 e accessori, corrispondente ai saldi passivi dei conti correnti nn. 11216 e 11217 accesi dalla predetta società presso la filiale di Centergross.
Con atto di citazione notificato il 16 ottobre 2002 la società ingiunta e i garanti hanno proposto opposizione davanti al tribunale di Parma eccependo l’incompetenza per territorio del tribunale adito e la litispendenza con altro giudizio previamente instaurato presso il tribunale di Bologna, con atto di citazione notificato tra il 29 luglio e il 2 agosto del 2002. Nel merito hanno dedotto la nullità delle pattuizioni relative alla misura degli interessi, alle spese, alle valute e alle altre commissioni per massimo scoperto, nonché quelle relative alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, la cui misura avrebbe superato il tasso soglia di cui alla L. n. 108 del 1996.
La Unicredit Banca ha chiesto il rigetto dell’eccezione di litispendenza e d’incompetenza per territorio, essendo il tribunale di Parma competente alla stregua delle clausole contrattuali (art. 20 del contratto di conto corrente, art. 42 delle condizioni generali di affidamento e art. 16 degli atti di fideiussione), osservando, nel merito, che le somme richieste erano dovute sulla base delle condizioni contrattuali vigenti, che era valida la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi e che, comunque, gli interessi richiesti erano stati ricalcolati sulla base del tasso legale.
Nel giudizio è intervenuto il fallimento della Propaganda s.r.l.. Con sentenza del 23 giugno 2004 il tribunale di Parma ha ritenuto che sussistesse litispendenza tra la causa di opposizione a decreto ingiuntivo e quella previamente instaurata davanti al tribunale di Bologna con domanda proposta da Propaganda s.r.l. nei confronti di Unicredit Banca e Rolo Banca 1473, diretta a ottenere la dichiarazione di nullità o inesistenza delle clausole relative agli stessi contratti di conto corrente oggetto del decreto ingiuntivo, concernenti la determinazione degli interessi, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, le valute e le commissioni, con la conseguente erroneità dei saldi contabilizzati. In tale causa, nella quale è stata anche chiesta, nel caso fosse stato superato il tasso soglia, la condanna della banca al risarcimento dei danni e l’accertamento dell’inefficacia di una cessione di credito, la Unicredit Banca non ha eccepito l’incompetenza e ha proposto domanda riconvenzionale chiedendo la condanna al pagamento delle stesse somme oggetto del decreto ingiuntivo opposto. Stante l’identità del petitum e della causa pretendi, ha osservato il tribunale, è irrilevante che nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo, a differenza da quella pendente davanti al tribunale di Bologna, siano parti oltre alla società anche i garanti.
Il tribunale ha pertanto dichiarato l’incompetenza del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo e, conse-guentemente, ne ha dichiarato la nullità.
La Unicredit Banca d’Impresa s.p.a., cessionaria del ramo d’azienda di Unicredit Banca, ha proposto regolamento di competenza chiedendo che sia dichiarata la competenza del tribunale di Parma. Premesso che nel giudizio instaurato davanti al tribunale di Bologna aveva ritualmente eccepito l’incompetenza del tribunale adito, la banca ha sostenuto che non sussistevano i presupposti per dichiarare la litispendenza, stante la diversità non meramente formale ma sostanziale delle parti (l’una persona giuridica, le altre persone fisiche), del petitum (essendo stato chiesto al tribunale di Bologna l’accertamento negativo del credito e al tribunale di Parma la condanna al pagamento) e della causa pretendi (essendo stato dedotto davanti al tribunale di Bologna il rapporto di conto corrente bancario e davanti al tribunale di Parma, nella causa contro i garanti, il rapporto di fideiussione). Eventualmente la litispendenza sarebbe stata deducibile solo riguardo alla causa tra la banca e la società, ma non rispetto a quella tra la banca e i garanti e, pertanto, previa separazione delle cause, il tribunale di Parma non avrebbe potuto declinare la sua competenza anche su tale causa. Il procuratore generale ha chiesto che, previa rimessione del ricorso alle sezioni unite, sia dichiarata la competenza del tribunale di Bologna.
Il fallimento della società Propaganda, Cataldo Greco, Ragni Gabriella e Giorgio Greco hanno presentato memoria ex art. 47 c.p.c.. La terza sezione civile, alla quale il ricorso era stato assegnato, con ordinanza del 17 maggio 2006, rilevato che in ordine alla determinazione della prevenzione, nel confronto tra una domanda di condanna introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo e una contrapposta domanda di accertamento negativo del credito introdotta con atto di citazione, esiste contrasto tra l’orientamento affermato con sentenza n. 3978 del 2003, che individua la data di proposizione della domanda di condanna in quella del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, e un orientamento precedente (che ha trovato ulteriori affermazioni con le sentenze nn. 3795 e 14040 del 2005) secondo il quale la prevenzione si determina con riferimento alla data di notificazione del ricorso e del decreto ingiuntivo, ha ravvisato l’opportunità di rimettere gli atti al primo presidente per eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite. Il ricorso, quindi, è stato assegnato a queste sezioni unite. In prossimità dell’adunanza in camera di consiglio le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con la memoria ex art. 47 c.p.c. in data 3 ottobre 2004 i resistenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso sia per invalidità della procura alle liti rilasciata da soggetto, qualificatosi come quadro direttivo e legale rappresentante della banca ricorrente, in mancanza di prova di quest’ultima qualità sia per difetto di legittimazione della Unicredit Banca d’Impresa s.p.a. in ordine a rapporti di cui era titolare la Unicredit Banca s.p.a.. Le eccezioni non meritano accoglimento.
1.1. Quanto al potere di conferire la procura speciale per proporre il regolamento di competenza, la procura stessa risulta rilasciata dal dr. Vincenzo Magnani (qualificatosi come quadro direttivo e legale rappresentante della società ricorrente), che ha giustificato il suo potere facendo riferimento all’art. 29 della statuto sociale e alla delibera del consiglio d’amministrazione del 17 dicembre 2002. Ora, com’è stato ripetutamente affermato, in tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l’ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e quindi spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui il potere rappresentativo derivi da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, spetta a chi agisce l’onere di provare l’esistenza di tale potere.
Nella specie il dr. Magnani ha allegato di agire in virtù di delibera del consiglio d’amministrazione, adottata in conformità dello statuto, e quindi di un atto non soggetto a pubblicità legale. Tuttavia, l’onere della società di provare la qualità di chi ha agito come suo rappresentante sorge non per la mera circostanza che sia stata sollevata contestazione della legittimazione, richiedendosi anche che la contestazione della qualità stessa sia tempestiva (cfr. cass. n. 13669/2006, 8442/2002), mentre nel caso di specie la contestazione è stata formulata con la memoria ex art. 47 c.p.c., depositata oltre il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso (avvenuta il 16 settembre 2004). Vero è che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il termine di cui si tratta ha natura meramente ordinatoria (cass., n. 14659/2000, 5030/2000;
3075/1999, 4597/1982), ma da ciò deriva solo il dovere di questa Corte di prendere in considerazione anche le scritture difensive tardivamente depositate, non anche che, comunque, e cioè anche nel caso di inosservanza del predetto termine, sorga l’onere probatorio della parte nei confronti della quale sia stata sollevata contestazione della legittimazione processuale del proprio rappresentante, se non altro perché del deposito della memoria tardiva tale parte non è avvertita e pertanto, a ritenere il contrario, ne verrebbe limitato o impedito il diritto di provare, nei modi stabiliti dall’art. 372 c.p.c., l’infondatezza dell’eccezione avversaria.
Nè può invocarsi il principio secondo cui, in tema di
rappresentanza processuale delle persone giuridiche, il giudice ha il dovere di accertare, anche d’ufficio ed in sede d’impugnazione, la legittimazione processuale delle parti, perché, com’è pacifico, tale principio comporta solo che debba essere verificato se il soggetto che ha dichiarato di agire o contraddire in nome e per conto dell’ente abbia anche dichiarato di far ciò in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza sostanziale dell’ente stesso nel processo, non che il giudice sia tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante.
1.2. Dalla documentazione prodotta con il ricorso, relativa al trasferimento del ramo d’azienda dalla Unicredi Banca s.p.a. alla Unicredit Banca d’Impresa s.p.a., risulta che i rapporti sostanziali oggetto del presente procedimento sono stati trasferiti alla società ricorrente e, pertanto, l’eccezione dei resistenti, anche sotto questo profilo, è infondata.
2. Tra la domanda di condanna proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo davanti al tribunale di Parma e la domanda proposta davanti al tribunale di Bologna sussiste rapporto di continenza. Infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa corte (ex multis v. cass. n. 4089/2007; 15905/2006; 27710, 26076, 14078, 6159 del 2005; 7144/2004; 4006 e 854 del 2003; 14563 e 3109/2002, 10011/2001), la continenza ricorre non solo quando due cause siano caratterizzate da identità di soggetti (identità non esclusa dalla circostanza che in uno dei due giudizi sia presente anche un soggetto diverso: cass. n. 14078/2005, 11346/2003) e di titolo e da una differenza quantitativa dell’oggetto, ma anche quando fra le cause stesse sussista un rapporto di interdipendenza, come nel caso in cui sono prospettate, con riferimento ad un unico rapporto negoziale, domande contrapposte o in relazione di alternatività e caratterizzate da una coincidenza soltanto parziale delle causae pretendi, nonché quando (in tal senso v, in particolare, cass. n. 21102 e 17737/2005) le questioni dedotte con la domanda anteriormente proposta costituiscano il necessario presupposto (stante il nesso di pregiudizialità logico-giuridica) per la definizione del giudizio successivo come nel caso in cui le contrapposte domande concernano il riconoscimento e la tutela di diritti derivanti dallo stesso rapporto e il loro esito dipenda dalla soluzione di una o più questioni comuni.
Nella specie sia il giudizio contenzioso ordinario pendente davanti al tribunale di Bologna che quello pendente davanti al tribunale di Parma, a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo hanno ad oggetto domande (contrapposte) per la cui definizione è necessario risolvere le stesse questioni relative all’esistenza e validità delle stesse clausole dell’unico rapporto di conto corrente bancario. 3. Al fine di realizzare l’economia dei giudizi e di prevenire la formazione di giudicati contraddittori, le regole dettate dall’art. 39 c.p.c., commi 2 e 3 in caso di continenza sono che, se solo uno dei giudici è competente per entrambe le cause, l’altro deve rimettergli la causa davanti a lui pendente, mentre se sono competenti entrambi, il giudice della causa proposta successivamente, verificata la competenza del primo, non soltanto in ordine alla causa da rimettergli, ma anche in relazione a quella presso di lui già pendente (con indagine estesa a tutti i criteri di competenza: v. cass. n. 15905/2006 cit.) deve dichiarare la continenza e fissare un termine perentorio per la riassunzione. Nel caso che nessuno dei due giudici sia competente per entrambe le cause si applica non la regola dettata dall’art. 39 c.p.c., ma, nel caso in cui sussista pregiudizialità-dipendenza, quella di cui all’art. 295 c.p.c.. La questione che si pone nella presente fattispecie, oggetto del denunciato contrasto è, pertanto, innanzi tutto, quella di determinare la prevenzione tra la domanda di condanna introdotta con il ricorso per decreto ingiuntivo davanti al tribunale di Parma e quella di accertamento negativo dello stesso credito proposta davanti al tribunale di Bologna.
La peculiarità della fattispecie consiste in ciò che la causa ordinaria sul rapporto è stata proposta con atto di citazione notificato tra il 29 luglio e il 2 agosto 2002, e quindi prima della notifica del ricorso e del decreto ingiuntivo, avvenuta il 6 settembre 2002, ma successivamente al deposito del ricorso stesso (avvenuto in data anteriore e prossima all’11 luglio, data in cui è stato emesso il decreto ingiuntivo).
Come ha rilevato l’ordinanza della terza sezione, sul punto è insorto un contrasto.
Secondo un primo orientamento, risalente nel tempo (cass. n. 2345/1951) e successivamente costantemente seguito (cass. n. 2067/1963; 2078, 2111, 2474, 2509, 2513 del 1964; 1200/1975; 94/1978;
121/1980; 2566/1981; 2588/1981; 10484/1991; 9988/1993; 10330/1998;
10784/1998; 2214/2001, nonché, n. 3794/2005 e 2319/2006), nella fattispecie di cui si tratta, la prevenzione si determina avendo riguardo alla data di notificazione del ricorso e del decreto ingiuntivo, in quanto, sulla base della norma speciale di cui all’art. 643 c.p.c., comma 3, tale notificazione determina la pendenza della lite. Pertanto, il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, nell’esercizio della propria competenza funzionale ed inderogabile sull’opposizione, accertata la continenza e la prevenzione a favore del giudice della causa ordinaria sul rapporto, deve dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo per incompetenza del giudice che lo ha pronunciato, fissando un termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere davanti al giudice preventivamente adito (non la causa di opposizione a decreto ingiuntivo, che più non esiste a seguito della pronuncia di incompetenza, ma) la causa avente ad oggetto la domanda di condanna proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo (cass. sez. unite n. 10011 del 2001, che ha composto il contrasto con il contrario orientamento che negava la possibilità di traslatio, ritenendo che, in presenza dei necessari presupposti, il giudice dell’opposizione potesse solo sospendere la causa davanti a lui pendente, ai sensi dell’art. 295 c.p.c.; successivamente v. in senso conforme: cass. n. 854/2003, 1651 e 26076 del 2005).
Lo stesso criterio di accertamento della prevenzione è stata ribadito anche nelle diverse fattispecie: a) della notifica dell’atto di citazione per l’accertamento negativo del credito (e, più in generale, sulla domanda diretta a ottenere una pronuncia che dichiari invalido o inefficace o risolva il rapporto giuridico), in data anteriore al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo (cass. n. 13410/2004, 10011/2001 cit.), nella quale non si pone alcun problema particolare, a fronte della pacifica incompetenza (originaria) del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo; e b) della notifica dell’atto introduttivo della causa sul rapporto giuridico in data successiva alla notifica del ricorso e del decreto ingiuntivo (cass. n. 10784/1998), nella quale, se il giudice dell’opposizione è anche competente per la causa sul rapporto, è quest’ultimo che dichiara la continenza e rimette le parti davanti al giudice dell’opposizione, preventivamente adito.
Un contrario orientamento, in ordine alla specifica fattispecie oggetto del presente ricorso (notifica dell’atto introduttivo della causa sul rapporto in data successiva al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, ma anteriore alla notifica del ricorso e del decreto) è stato espresso con la sentenza n. 3978 del 2003 (seguita da cass. n 5627 e 5628 del 2005, 9181 e 5957 del 2006) la quale ha affermato che, ferma la competenza funzionale a conoscere dell’opposizione e poiché tale competenza “altro non è che una proiezione della competenza a provvedere sulla stessa domanda proposta con il ricorso per decreto d’ingiunzione, si deve dare rilievo al punto se, quando il ricorso veniva presentato, la competenza a conoscere della domanda di condanna esisteva e non era stata superata dal fatto che ad altro giudice fosse stata già proposta la domanda sul rapporto.” Il principio di diritto affermato è che, quando “la parte nei cui confronti è stato chiesto decreto ingiuntivo abbia proposto domanda di accertamento negativo del credito davanti ad un diverso giudice prima che il ricorso ed il decreto ingiuntivo le siano stati notificati, se, in virtù del rapporto di continenza tra le due cause quella di accertamento negativo si presti ad essere riunita a quella di opposizione, la continenza deve operare in questo senso, sempre che la domanda di ingiunzione sia stata proposta a giudice che alla data in cui è stata presentata era competente a conoscerne”.
A sostegno di tale soluzione sono stati esposti i seguenti argomenti:
a) se il decreto ingiuntivo è emesso da giudice che, alla data di deposito del ricorso, è competente in quanto sarebbe stato competente per la domanda di condanna proposta in via ordinaria, in virtù del principio affermato dall’art. 5 c.p.c., tale competenza non può venire meno per il solo fatto che, successivamente, è proposta domanda introduttiva della causa avente ad oggetto il rapporto;
b) ritenere che la notifica del ricorso e del decreto siano rilevanti non solo per determinare il momento della pendenza della lite nel caso in cui sia stata proposta opposizione, ma anche rispetto a ogni altra fattispecie contrasta con gli orientamenti giurisprudenziali che hanno attribuito rilevanza al momento della proposizione della domanda di ingiunzione, mediante deposito del ricorso, al fine di accertare la competenza nel caso di modifiche legislative (cass. n. 8118/1999, 4904/1998) o per computare il valore della causa ai sensi dell’art. 10 c.p.c. (cass. n. 191/1964);
c) la fase sommaria, chiusa con l’emissione del decreto, conserva autonomia di effetti, anche dopo che sia stata proposta opposizione, come è dimostrato dal fatto che il decreto ingiuntivo acquista stabilità definitiva in caso di conciliazione (art. 652 c.p.c.) – di inattività dell’opponente (art. 647 c.p.c.) e nelle altre ipotesi di estinzione del giudizio di opposizione (art. 653 c.p.c.);
d) la soluzione accolta rispetta le esigenze, di rilievo costituzionale, di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, disincentivando iniziative processuali dirette a trasferire in un giudizio autonomo le ragioni difensive che avrebbero potuto essere proposte in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, al solo scopo di far valere l’incompetenza del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo e quindi la nullità del decreto stesso. 4. Le sezioni unite ritengono che l’orientamento più recente meriti di essere condiviso.
Deve preliminarmente precisarsi che esula dai termini nei quali il contrasto si è posto nella giurisprudenza di questa corte ed è stato prospettato nell’ordinanza della terza sezione che ha sollecitato la rimessione alle sezioni unite sia la qualificazione della competenza (funzionale e inderogabile) del giudice dell’opposizione che la problematica delle conseguenze che il rilievo della continenza tra la causa sul rapporto e quella di opposizione al decreto ingiuntivo può avere sulla validità del decreto ingiuntivo, nel caso in cui la prevenzione giochi a favore del giudice della causa sul rapporto, perché, non ostante la diversa opinione di una parte minoritaria della dottrina, è pacifico in giurisprudenza che in tal caso il giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo, accertata l’incompetenza per continenza del giudice che emesso il decreto ingiuntivo, ne debba dichiarare la nullità (v., ex multis, n. 10011 del 2001 e, successivamente, n. 854/ 2003, 1651 e 26076 del 2005).
Appare utile, inoltre, sottolineare che alla base dell’orientamento più recente non sussistono soltanto le evidenti esigenze di giustizia, più volte segnalate dalla dottrina, consistenti nella necessità di evitare che la tutela ottenuta dal creditore sia messa nel nulla non per effetto dell’accertamento in contraddittorio dell’inesistenza delle condizioni processuali per la concessione del decreto ingiuntivo o, nel merito, delle ragioni creditorie, ma per il mero fatto che il debitore si sia affettato a precedere con la notifica dell’atto introduttivo del giudizio sul rapporto quella del ricorso e del decreto, pur previamente richiesto e ottenuto, magari al solo scopo di ottenerne la dichiarazione di nullità e la cancellazione dell’eventuale ipoteca giudiziale. Debbono, infatti, anche essere tenute presenti esigenze di natura sistematica, consistenti nella necessità di evitare che, in assenza di decisive e, comunque, convincenti ragioni sostanziali e formali, la regola dettata dall’art. 643 c.p.c., comma 2, la cui natura eccezionale può costituire il risultato e non il presupposto dell’indagine ermeneutica, porti a conclusioni contrastanti con principi generali, con orientamenti giurisprudenziali pacifici e con altre norme che disciplinano il procedimento d’ingiunzione. 4.1. L’orientamento che identifica il momento in cui si determina la pendenza del procedimento d’ingiunzione con quello in cui è eseguita la notifica del ricorso e del decreto, rende possibile la modificazione della competenza a conoscere della domanda d’ingiunzione per un fatto (notifica dell’atto introduttivo del giudizio sul rapporto) successivo alla proposizione della domanda stessa. Tale effetto, se non si pone in diretto contrasto con la disciplina positiva dettata dall’art. 5 c.p.c. – che esclude la rilevanza dei mutamenti delle circostanze di fatto e (dopo la modifica introdotta con la L. n. 353 del 1990, art. 2) di diritto determinative della competenza esistenti al momento della proposizione della domanda, ma non impedisce anche che, per evitare giudicati contradditori e/o spreco di attività processuale, si possa realizzare il simultaneus processus in caso di connessione o continenza tra cause contemporaneamente pendenti – certamente contrasta con l’esigenza, che sta alla base del principio della perpetuatici jurisdictionis, di evitare, per quanto è possibile, che le parti (in quanto tali e quindi indipendentemente dalla circostanza che abbiano ragione o torto) debbano subire pregiudizio dalla durata del processo. Tale principio e l’esigenza fondamentale di cui costituisce attuazione, peraltro, hanno attualmente rilievo costituzionale (art. 111 Cost., comma 2) avendo il legislatore il dovere di garantire e le parti processuali il diritto di esigere (L. n. 89 del 2001) che la durata del processo sia ragionevole e pertanto non sia di per se lesiva del diritto di agire in giudizio. 4.2 Ulteriore profilo di ordine generale da tenere presente nell’interpretazione dell’art. 643 c.p.c., comma 3, attiene alla problematica dell’identificazione del momento in cui si determina la pendenza della lite nei giudizi che iniziano con ricorso. Le sezioni unite (sentenza n. 5597 del 1992), con espresso riferimento ai giudizi ex art. 409 c.p.c., ma con argomentazioni di portata generale, che rendono il principio estensibile a tutti i processi che iniziano con ricorso (v. cass. n. 7433/2002, per i giudizi di opposizione a sanzioni amministrative L. n. 689 del 1981, ex art. 22 e 23; cass n. 4686/2001, con riferimento ai giudizi di separazione personale; cass. n. 3095/1999, 11774/1998 e 5433/1995, per i procedimenti di impugnazione delle sentenze di separazione e di divorzio) hanno affermato che in tali procedimenti, non essendo applicabile, neppure in via analogica, l’art. 39 c.p.c., comma 3 strettamente dipendente dalla struttura dei processi che iniziano con atto di citazione, è rilevante la data di deposito dell’atto introduttivo. Infatti “la prevenzione è un effetto della costituzione del processo e non della realizzazione del contraddittorio”, che la legge (art. 101 c.p.c.) richiede per statuire sulla domanda. Inoltre, per la costituzione del processo è sufficiente che si realizzi il contatto fra due dei tre soggetti del rapporto processuale, a nulla rilevando che tale contatto abbia luogo fra le due parti, come nei processi che iniziano con citazione, o tra una parte e il giudice, come nei processi su ricorso.
È pur vero che in occasione della citata decisione, le sezioni unite, aderendo all’indirizzo tradizionale, hanno affermato che ai principi generali enunciati farebbe eccezione proprio il disposto dell’art. 643 c.p.c., comma 3, ma, come già osservato, la natura eccezionale della norma è conseguenza dell’interpretazione tradizionale che forma oggetto della verifica richiesta per la soluzione del contrasto oggetto della presente decisione. 4.3. La giurisprudenza di questa corte ha individuato alcuni effetti processuali che derivano dal deposito del ricorso per ingiunzione che non appaiono coerenti o, comunque, spiegabili alla luce dell’orientamento tradizionale.
Si è infatti affermato che: a) in caso di mutamento della disciplina sulla competenza e quando sia necessario individuare il momento della pendenza del procedimento, si deve avere riguardo alla data di proposizione del ricorso, poiché è con il ricorso che viene proposta la domanda e si realizza il presupposto per l’applicazione dell’art. 5 c.p.c. (cass. n. 8118/1999; 9714 e 4904/1998); b) la competenza per valore a conoscere della domanda d’ingiunzione deve essere riscontrata cumulando, ai sensi dell’art. 10 c.p.c., comma 2, con la somma richiesta gli interessi scaduti (cass. n. 7292/1992, 191/1964) o la rivalutazione monetaria maturata (cass. n. 13006/1997) sino alla data di deposito del ricorso, e non anche quelli maturati fino alla data di notifica del ricorso e del decreto; c) la data di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo costituisce il dies a quo per la decorrenza degli interessi anatocistici, in presenza degli altri presupposti richiesti dall’art. 1283 c.c. (cass. n. 5035/1999, 9311/1990).
4.4. Nell’interpretazione dell’art. 643 c.p.c., comma 3, non possono trascurarsi alcuni aspetti, anche di natura testuale, che emergono dalla disciplina del procedimento d’ingiunzione.
L’art. 638 c.p.c. dispone che “la domanda d’ingiunzione si propone con ricorso” e, conseguentemente, l’art. 640 c.p.c., per il caso di rigetto del ricorso, e l’art. 644 c.p.c., nell’ipotesi di inefficacia per mancata notifica del decreto, prevedono che la domanda possa essere “riproposta”.
Dalla proposizione della domanda d’ingiunzione nascono alcuni effetti processuali:
– da tale momento sono irrilevanti i mutamenti dei criteri di determinazione della competenza (art. 5 c.p.c.);
– il giudice ha il dovere di provvedere su tutta la domanda proposta con il ricorso e non oltre i limiti di essa (art. 112 c.p.c.);
– i luoghi indicati nel ricorso, ai sensi dell’art. 638 c.p.c., sono quelli in cui deve essere notificata l’opposizione e, pertanto, così come previsto dall’art. 170 c.p.c. per i procedimenti contenziosi, se il ricorso è proposto con il ministero di un difensore l’opposizione stessa deve essere notificata presso di lui;
– ricevuto il ricorso il cancelliere ha il dovere di formare il fascicolo d’ufficio e iscrivere “l’affare” nel registro generale (art. 36 disp. att. c.p.c.);
– dal momento del deposito, fino a quello della scadenza del termine stabilito ai sensi dell’art. 641 c.p.c., il ricorrente non può ritirare i documenti allegati al ricorso (art. 638 c.p.c., comma 3). Più in generale, deve rilevarsi che il conseguimento dell’esecutorietà del decreto conseguente all’estinzione del giudizio di opposizione (artt. 647 e 653 c.p.c.) o alla conciliazione (art. 652 c.p.c.) sono effetti definitivi idonei a conferire una propria autonomia al subprocedimento sommario, che ha inizio con la proposizione della domanda d’ingiunzione. Tutti tali effetti debbono trovare una base normativa e una spiegazione logico-giuridica, mentre l’interpretazione tradizionale, come è stato efficacemente osservato in dottrina, “getterebbe… la fase ricorso-decreto ingiuntivo… nel mistero”, collocando, tra l’altro, fuori dal processo tutte le attività proprie dell’ufficio giudiziario che seguono al deposito del ricorso (cass. n. 5597/1992). Conseguenza che sarebbe coerente con quelle autorevoli, ma isolate, impostazioni teoriche che negano che il decreto ingiuntivo possa mai conseguire tra le parti la stessa autorità della sentenza, costituendo una mera possibilità o un tentativo di provvedimento, ma che contrasta palesemente con il diritto positivo.
4.5. Spinge a ricercare un’interpretazione coerente con i principi generali e i dati normativi sopra evidenziati anche il dovere di preferire una soluzione ermeneutica costituzionalmente orientata. Tra i principi costituzionali che debbono guidare l’interpretazione delle norme processuali, ai fini della soluzione del contrasto, assume precipuo rilievo quello della ragionevole durata del processo che deve far prevalere quelle soluzioni che, in assenza di esigenze meritevoli di tutela, disincentivano la duplicazione di procedimenti aventi lo stesso oggetto e quindi quell’interpretazione che possa indurre il debitore a far valere nel giudizio di opposizione quelle ragioni che potrebbe essere indotto a dedurre in un autonomo giudizio di cognizione, al solo scopo di ottenere la dichiarazione di nullità del decreto ingiuntivo e la cancellazione di eventuali ipoteche giudiziali.
5. Tutte le ragioni indicate inducono a condividere l’opinione di quella parte della dottrina che interpreta l’art. 643 c.p.c., comma 3 nel senso che la notificazione del ricorso e del decreto è condizione per il determinarsi della litispendenza, ma non coincide anche il momento in cui si verifica. Tale momento, secondo i principi generali che reggono i procedimenti su domanda di parte, è quello in cui è proposta la domanda d’ingiunzione e, pertanto, la litispendenza si verifica solo se il ricorso e il decreto sono notificati, ma retroagisce al momento del deposito del ricorso. Tale interpretazione non contrasta con il dato letterale, sul quale si basa sostanzialmente in via esclusiva l’orientamento tradizionale, sia perché il verbo “determinare” ben può avere il significato di “causare”, “produrre” o “condizionare”, sia perché, a differenza dall’art. 39 c.p.c., comma 3, che fa riferimento a un effetto di precisa natura temporale come la “prevenzione”, l’art. 643 c.p.c., comma 3 si riferisce alla più ampia nozione di “pendenza”, nell’ambito della quale si possono identificare significati e fenomeni processuali diversi, che vanno dalla litispendenza “semplice” a quella “qualificata”, che si verifica quanto la lite pende davanti a un giudice determinato, e che comprende anche la situazione di quiescenza, come quella in cui si trova la lite nel tempo intercorrente tra la pronuncia della decisione e la proposizione dell’impugnazione o tra la dichiarazione d’incompetenza e la riassunzione e tra la cassazione e l’inizio del giudizio di rinvio.
Nè può ritenersi che la lite la cui pendenza è condizionata dalla notifica del ricorso e del decreto sia diversa da quella introdotta con la domanda d’ingiunzione, come sostiene quella dottrina che interpreta l’art. 643 c.p.c., comma 3 come anticipazione degli effetti dell’opposizione, non solo perché l’opposizione è meramente eventuale ma anche perché oggetto dell’opposizione è la stessa lite i cui termini soggettivi e oggettivi sono definiti nella domanda d’ingiunzione.
D’altra parte, poiché la fondamentale funzione della notifica del ricorso e del decreto è di provocare il contraddittorio mentre, come è stato rilevato (v. cass. n. 5597 del 1992), “la prevenzione è un effetto della costituzione del processo e non della realizzazione del contraddittorio”, non contrasta con la predetta funzione riconoscere che il principale effetto processuale della pendenza retroagisca al momento della proposizione della domanda. Nè il fatto che, a differenza dagli altri procedimenti su ricorso, nel procedimento d’ingiunzione il giudizio a cognizione piena è meramente eventuale, può escludere l’applicazione del principio generale enunciato nell’indicata decisione di queste sezioni unite, perché, comunque, il diritto di difesa dell’ingiunto è garantito dalla necessità che, per il verificarsi della litispendenza, con decorrenza dalla data del deposito del ricorso, il ricorso stesso e il decreto debbono essere notificati.
Il principio di diritto che, pertanto, deve essere affermato è che l’art. 643 c.p.c., comma 3 deve interpretarsi nel senso che la lite introdotta con la domanda di ingiunzione deve considerarsi pendente a seguito della notifica del ricorso e del decreto, ma gli effetti della pendenza retroagiscono al momento del deposito del ricorso. 6. Nella specie il tribunale di Parma è competente sia sulla domanda di condanna di cui al ricorso per ingiunzione che sulla domanda proposta davanti al tribunale di Bologna. E poiché gli effetti della pendenza determinatasi con la notifica del ricorso e del decreto avvenuta il 6 settembre 2002 retroagiscono alla data di deposito del ricorso, che è anteriore e prossima all’11 luglio 2002, data di emissione del decreto ingiuntivo, la prevenzione gioca a favore del tribunale di Parma e non del tribunale di Bologna, adito con atto di citazione notificato tra il 29 luglio e il 2 agosto 2002. Il tribunale di Parma ha quindi errato nell’affermare la prevenzione a favore del tribunale di Bologna e, altresì, nel dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo.
La sentenza impugnata deve esser pertanto cassata e si deve dichiarare la competenza del tribunale di Parma.
In considerazione del contrasto di giurisprudenza sussistono giusti motivi per compensare le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la competenza del tribunale di Parma. Spese compensate. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle sezioni unite civili, il 3 aprile 2007.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2007FONTE WWW.ILCASO.IT